TERAPIA OCCUPAZIONALE

+++ATTENZIONE POST LUNGO+++
La terapia occupazionale ha come obiettivo la performance occupazionale, ovvero la capacità della persona di coinvolgersi nelle attività della vita quotidiana che deve o vuole compiere.
La performance occupazionale è il risultato della interazioni tra le componenti della persona – ambiente – occupazione e viene definita come l’esperienza di una persona, impegnata in attività significative all’interno di un ambiente.
La performance ha a che fare con la prestazione, ma non solo con il Buon/Bel risultato: una persona può agire competentemente se è in grado di assolvere tutte le richieste di un compito, di adempiere alle richieste che provengono dall’ambiente circostante e di interagire e reagire con l’aiuto di abilità e strategie adeguate, apprese in ogni situazione.
 
Questa è una delle possibili definizioni.
 
Chiaro (?) quindi perché sia utile ad anziani e disabili di varia gravità.
 
Ma serve anche ai bambini?
Certo che sì: aiuta nell’autonomia, per esempio.
 
Aneddoto estivo: tornando dalla spiaggia incontro un bimbetto che avrà avuto 5 anni. Cercava un modo per aggirare un tronco e non riusciva a capire dove passare. Camminando sulla sabbia si sfilano le ciabattine e finiscono davanti ai suoi piedi rovesciate (suola in alto). Mi guarda terrorizzato e inizia a urlare. “le scarpe, le scarpe, ho perso le scarpe!”. Per un attimo ho avuto la logopedica tentazione di indicargli possibili soluzioni e lasciar risolvere la questione a lui. Poi ha prevalso la preoccupazione per le piante dei piedi sulla sabbia bollente e ho raccolto scarpe, messe ai piedi e indicato uscita.
La terapista che è in me si è chiesta come sia possibile che a 5 anni un bimbo non sapesse risolvere velocemente una situazione come questa. Un paio di idee ce le ho, ma le tengo per me.
 
Quindi, torniamo alla terapia occupazionale per l’età evolutiva.
 
I terapisti occupazionali lavorano con bambini, adolescenti e le loro famiglie, aiutandoli a costruire le competenze che permetteranno:
 
autonomie (vestirsi, mangiare, usare i soldi, muoversi sul territorio);
 
abilità sociali (come interagire con coetanei ed adulti, capire le situazioni ed evitare quelle spiacevoli o pericolose);
 
giocare (turni, tolleranza alla frustrazione, strategie).
 
Insomma, volendo, possono insegnare ad un bambino come risolvere un problema individuando le priorità:
1 – proteggere le piante dei piedi (osserva il terreno intorno a te e cerca le scarpe),
2 – la sequenza di azioni da compiere (gira le scarpe e infilale ai piedi);
3 – individuare una via d’uscita (trova la parte del tronco più bassa o una apertura).
 
Perché non è detto che passi un adulto (gentile) proprio in quel momento a risolvere il problema.
 
Non ha importanza quale sia la difficoltà del bambino/bambina (se non per il terapista che costruirà il progetto sulle specifiche risorse di ognuno), ha importanza raggiungere un obbiettivo di benessere e serenità nel quotidiano e nel sociale.
 
Non solo quindi sapersi infilare la maglietta e tenere ordinata la stanza, ma anche e soprattutto essere indipendente e fiero dei propri risultati.
 
Pensateci.

Osteopatia pediatrica: come, quando, perché

L’Osteopatia pediatrica si occupa delle patologie dei bambini, dal neonato all’adolescente attraverso il trattamento manuale con tecniche manipolative dolci, non invasive.

Il trattamento osteopatico ha lo scopo di ridurre la sintomatologia dolorosa, lo stato di irritabilità che lo stato di malattia causa,  di recuperare la funzione dove sia alterata, di favorire il recupero di un buono stato di salute intervenendo sui meccanismi di autoregolazione dell’organismo.

Tra le patologie tipiche del neonato e trattate con buon successo dall’osteopatia si annoverano: colichettereflusso gastresofageo, disturbi respiratori, plagiocefalia posizionale, torcicollo , disturbi del sonno ecc.

Per quanto riguarda le patologie dell’età evolutiva, l’Osteopatia pediatrica si rivolge a quei disturbi che riguardano dolori alla schiena, agli arti, atteggiamenti posturali viziati, traumi da sport, mal di testa, dolori delle articolazioni temporomandibolari (dolori riferiti alla mandibola o in prossimità dell’orecchio e legati ad un’alterata occlusione dentale), ma anche a problemi come tosse ed asma , cicatrici postchirurgiche ecc.

In un primo incontro col terapeuta avviene la raccolta delle notizie riguardo la storia clinica del bambino, la  valutazione funzionale e viene progettato il piano di trattamento più adatto.

A cura della Dottoressa Veronica Viscione

 

Fisioterapia ed osteopatia cosa sono?

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Riabilmente offre anche questo (NON CONVENZIONATO, purtroppo), fisioterapia ed osteopatia coniugate in tutte le loro declinazioni.

La nostra Dottoressa Veronica Viscione, ha preparato risposte alle domande più comuni:

A chi si rivolge:  se hai dolori al collo, alla schiena, se hai avuto un trauma da contusione, distorsione, frattura, se hai perso mobilità in seguito ad uno di questi eventi; se hai mal di testa, se hai una postura sbagliata o squilibrata, in tutti questi casi ed in tutti gli altri casi in cui un dolore ti impedisce di vivere serenamente o di rinunciare a delle attività motorie del tuo quotidiano allora possiamo aiutarti.

Come agisce: le tecniche riabilitative fisioterapiche e quelle manipolative osteopatiche sono effettuate dal terapeuta attraverso manovre dolci e vengono proposti esercizi per migliorare la funzione e rendere più efficace e veloce il recupero dello stato di salute.

Un paziente in genere arriva con una diagnosi di uno specialista e la prescrizione di fisioterapia o dell’osteopatia; in molti altri casi il paziente decide di fare autonomamente una valutazione dal terapeuta, in entrambe i casi ci sarà  un primo incontro  durante il quale si stabilisce un piano di trattamento.

Scopo del trattamento:  l’obiettivo della fisioterapia e dell’osteopatia è ridurre la sintomatologia dolorosa, recuperare la funzione motoria persa (ad esempio, una distorsione della caviglia oltre al dolore mi impedirà di camminare bene, o a lungo), ripristinare una buona qualità della vita.

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Perché si sceglie questo mestiere?

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Le grandi domande, in questo periodo.

Suppongo la risposta non sia uguale per tutt*.

Quello che so per certo è che se questo lavoro non te lo “senti”, non resisti per più di 4/5 anni.

Non che sia una missione, per carità; quando mi si dice che con questo lavoro mi guadagno un posto in paradiso, risponderei, se potessi, direttamente con una randellata sulle gengive dell’interlocutore.

Mi pagano per questo lavoro (poco o molto che sia), ci vivo, ci pago l’affitto e le bollette. Non è certo volontariato.

Dopo 35 anni mi piace ancora e non per gli stessi motivi.

Questo è un lavoro che, fondamentalmente, ti costringe ad una evoluzione personale costante e inesorabile. Non puoi restare uguale a te stessa, non puoi reiterare gli stessi schemi. Qui più che in altri mestieri.

Perché hai a che fare con persone e le persone cambiano individualmente e anche globalmente. Le modalità di interazione possibili 35 anni fa, sono impensabili nel 2018.

Certo apprezzavo molto i regali che mi sono arrivati i primi anni: casse di ciliege, guantiere di dolci, improbabili fontane di plastica luminose, torroni di Benevento… Ma queste sono nostalgie personali.

Un neuropsichiatra con il quale ho lavorato sosteneva che questo lavoro si sceglie perché dentro è rimast* un/una bambin* ferito che chiede di essere curat*. Qualcosa ha lasciato una cicatrice che, crescendo, sanguina ancora.

In parte è vero, in parte no. In parte è una buona cosa, in parte no.

E’ vero che si diventa “guaritori” (e lasciatemi passare il termine per quanto impreciso ed inadatto a questo settore), per imparare a guarirsi; è vero anche che si tratta di un buon lavoro con decenti sicurezze (difficile rimanere disoccupat*).

E’ in parte una buona cosa perché nutre la determinazione, l’ostinazione e la caparbietà; in parte non è una buona cosa perché passare il tempo a cercare la propria ferita nel corpo degli altri porta danni.

Ma se non hai dentro un pezzo di questo bisogno, non resisti, molli.

Affrontare, ogni giorno, per 6/8 ore di seguito, l’emotività di bambini piccoli e spaventati, può essere devastante.

I primi anni passi intere giornate a pensare cosa fare, come farlo, perché quel bambino fa così, percome e percosa.

La sera ti metti a letto e ti accorgi di avere sotto le coperte 13 ragazzini che aspettano te per sapere cosa fare.

Non si regge a lungo. E proprio per questo ti costringe ad evolverti. Evolverti verso un equilibrio delicato e fragile: saper esserci quando serve, staccare quando serve.

Si affronta la formazione, all’inizio, con una fame lupesca. Ogni punto di vista, studio, pubblicazione e metodo, ti sembrano la SOLUZIONE. Altre volte ti sembra diano ragione a te e a quello che stai imparando mentre “fai”. Poi cambi e impari a selezionare quello che ti serve.

I primi anni passano in una guerra senza confini con tutti, dico tutti, i genitori che incontri. Hanno sempre torto. Sbagliano sempre. Non sanno mai fare la cosa giusta. Non ti ascoltano. Rovinano il tuo lavoro.

Ma non è questo il punto. Il punto è che ogni genitore è il TUO genitore. Ad ognuno di loro imputi le stesse identiche responsabilità che imputi ai tuoi. Loro sono mamma e papà. Loro sono la tua battaglia per cambiare quello che la tua famiglia ha fatto con te e che non andava bene per te. Anche in questo ci si evolve, e molto. A volte semplicemente facendo figli, cosa che ti costringe a passare dalla parte dello “oppressore” ed iniziare a comprendere la natura dei rapporti familiari, i limiti e le meraviglie. Altre volte semplicemente cresci, smetti di essere “figli*” perdoni ed inizi finalmente a vedere le famiglie dei bimbi che segui per quello che sono. Persone. Persone con una storia. Spaventate e spesso sole. Persone che portano a passeggio pesi enormi che te li sogni. Persone che fanno quello che sanno fare al meglio delle proprie possibilità.

Così impari pure a parlarci. Abbandoni il piglio garibaldino e inizi a “comunicare”. Questo può cambiare le cose.

Evoluzioni su evoluzioni.

Ognun* di noi porta in terapia ciò che è. Troverete terapiste più morbide e altre del tipo “rottenmeier”; troverete terapiste timide o iperverbali, terapiste che sanno inventare e altre che sanno applicare. Teoriche e pratiche, espansive e introverse. Accoglienti o respingenti. E lavoreranno, con i bambini con quello che sono.

E non fermatevi alle apparenze, contano poco. Non è la simpatia che fa una buona terapista come non è l’antipatia a fare una cattiva terapista. Capisco che, per i genitori, sia giusto e importante basarsi, all’inizio, sull’impressione “a pelle”, ma la cosa davvero importante da vedere è se vostr* figli*, esce dalla terapia sorridendo o se vi dice “ho giocato” (col mazzo che ci facciamo per inventarci lavori travestiti da giochi, per noi è un risultatone, non scambiatelo per fancazzismo) o ancora se ha voglia di tornare.

Perché ho scelto questo lavoro?

All’inizio mi ci sono trovata, anzi sono stata costretta, per essere sincera. Poi ho inseguito le mie guarigioni. Negli anni ’80 si guadagnava be-nis-si-mo. Poi ho fatto altro. Poi sono tornata a fare la logopedista e mi sono resa conto di varie cose: mi piace vedere i bambini crescere, mi piace ottenere risultati, mi piace non avere capi, mi piace l’autonomia, mi piace avere a che fare con la gente, mi piace dare una mano ai genitori e sì, mi piace sentirmi utile.

Comunque, in tutto questo, non chiamateci “maestre”, Vi prego.

 

Ma la Logopedista, cosa fa?

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Insomma, ma una logopedista cosa fa?

Bella domanda.

Bella domanda perché c’è quello che deve fare, quello che si ritrova a fare e quello che è necessario fare. E non in questo ordine.

La Logopedista (uso il femminile perché le donne sono la maggioranza assoluta, gli uomini sono pochi e, ovviamente, vengono trattati con la cura e l’attenzione che si dedica alle specie in via di estinzione), si occupa genericamente di “comunicazione” e di tutto quello che comporta.

Suono, parola, vocabolario, frase, comprensione, scrittura, racconto, lettura, metodi alternativi per emettere suoni, metodi alternativi per imparare qualunque cosa, metodi alternativi per scrivere e/leggere, recupero di funzioni cognitive, ingoiare correttamente ed evitare ai genitori le migliaia di euro da spendere dal dentista. Ma anche altre faccende meno limpide: regolazione del comportamento ad esempio, supporto alla famiglia, indicazioni educative pratiche.

E poi ancora valutazioni (che sarebbero i test).

Età coinvolte: da 0 a 99 anni.

Una logopedista può occuparsi di un bambino di due anni e di un anziano di 95.

Ragion per cui, vista la mole di informazioni che una logopedista dovrebbe possedere, ci si specializza un po’. Alcune si occupano di età evolutiva, altre di adulti, altre di adolescenti.

Qui a Riabilmente siamo specializzate in età evolutiva (da 0 a 18 anni più o meno, ma si tende a smettere di far fare terapia ai ragazzi intorno ai 12 anni, tranne alcuni casi che riguardano i ritardi dello sviluppo).

Per quanto la logopedia si serva ormai di tecniche molto precise e ben protocollate (prima fai questo, poi quello e poi quell’altro lì), molto ma molto raramente capita di potersi attenere a un programma fisso. Perché? perché abbiamo a che fare con bambini. E i bambini non solo non sono materia fissa, ma non sono neanche protocollabili.

Capita anche di scoprire che dietro un disturbo (magari un disordine fonologico, ovvero il parlare in un modo che ti capisce solo tua sorella maggiore e nessun altro al mondo), ci sia qualcosa che con la lingua, il palato e l’apparato fonatorio non c’entra proprio niente.

Allora la logopedista, che ha iniziato la sua bella e tranquilla parte tecnica per mobilizzare la lingua e i muscoli e la santa propriocezione e la stramalefica discriminazione e tutto il resto appresso, si deve fermare e fare un passo indietro.

Cosa mangia?  come mangia? biberon? ciuccio?
– già ne abbiamo parlato, non mi fate dilungare che poi vi offendete –. E allora consigli e cambiamenti di abitudini da monitorare. Perché noi controlliamo, anche se non ve ne accorgete -.

Come dorme? a bocca aperta o chiusa?
– a questo proposito mi ripeto: ma voi adulti avete mai provato a stare per un anno di seguito col naso tappato notte e giorno? Vi verrebbero i sintomi dell’alzheimer, ve lo assicuro – Quindi vai di otorinolaringoiatra, che non vuole mai operare di adenoidi e noi ci disperiamo, vai di esami audiometrici che risultano sempre nella norma, ma anche no. Anche no perché piccoli abbassamenti sono importanti nella crescita dei bambini.

Dorme da sol*?
– Che te ne importa? mi importa, perché dormire da soli è segno di crescita, dormire costantemente nel lettone è da “piccolini”, son passaggi gente, passaggi di maturazione e non pensiate che il linguaggio sia una cosa a sé stante; è espressione di sé. E’ lo specchio di ciò che si è -. Di nuovo consigli educativi. E alzi la mano chi di noi ottiene risultati in fretta. E’ una richiesta ovviamente retorica.

Ok. Ripartiamo. Si lavora sulla produzione dei suoni. Esercizi su esercizi. Specchio. Lingua. Parole da ripetere. Giochi da inventare per fare sempre le stesse cose.

Primi risultati: immediati.

Gioia collettiva. La logopedista è una santa. La logopedista è bravissima. La logopedista funziona con l’imposizione delle mani.

Fase successiva: stallo.

Delusione. La logopedista è una chiavica. Non va bene.

Questo discorso vale anche per faccende come l’acquisizione della lettoscrittura o qualunque altra cosa vi venga in mente.

Lo stallo è fisiologico, sappiatelo. La logopedista ha fatto la parte iniziale, ovvero ha dato gli strumenti (che siano suoni da emettere, boli da inghiottire, fogli da leggere o comportamenti da regolare etc etc). Quello che la logopedista non può fare è obbligare un bambino ad usare quello che gli è stato dato.

Non può. A meno di non usare metodi piuttosto drastici (tra di noi c’è chi li ama e chi no), non si può. Il passaggio avviene all’improvviso. Per ognuno un motivo diverso.

A volte tornano dalle vacanze estive così cambiati che ti chiedi se i genitori si siano confusi sulla via del ritorno. Spesso loro, i genitori, ti dicono pure: “tutto merito della baby dance al villaggio vacanze”. Ah sì? Baby dance? E l’anno di mazzo tanto che ci siamo fatti io e la creatura due volte a settimana superando pianti e rifiuti? e le sedute passate a rinforzare l’autostima per portare la creatura a “provare”? e le giornate mie passate a inventarmi giochi nuovi per non annoiare sempre con le stesse cose? e l’impegno suo a mettersi in gioco e uscire dalla sua comfort zone?

A volte il passaggio in prima elementare fornisce loro quel colpo di reni necessario. A volte anche le prese in giro dei compagni funzionano. A volte decidono che gli piace imparare e basta.

E vi ho detto la metà.

Ne riparleremo.